Lavello, giovane ragazza volata in cielo a soli 20 anni. Ecco la lettera della madre

“Se racconto queste cose è perché voglio fare qualcosa per aiutare altri ragazzi fragili come la mia Linda”.

La professoressa Anna Morena insegna italiano e storia alle superiori a Lavello e sua figlia è la ragazza di vent’anni che ha perso la vita una settimana fa a Bologna.

Anna non si dà pace ed evidenzia che:

“Linda non era una tossicodipendente, non aveva precedenti penali e soffriva di un disturbo borderline della personalità per cui alternava momenti di eccitazione ad altri di grande depressione e se era triste faceva di tutto per distruggersi.

Quando ci hanno chiamato per dirci che era morta stavamo partendo per riportarla a casa.

Dal tono che aveva avevo capito che stava male e volevo andare a Bologna per ricoverarla, avevo già chiesto il permesso a scuola”.

Con il marito, sarebbe dovuta partire il mercoledì, ma purtroppo la ragazza è deceduta martedì mattina all’alba (era arrivata a Bologna da meno di una settimana).

Linda era una ragazza affettuosa, molto amata, si faceva voler bene.

I genitori dopo l’autopsia incontrano i volontari del comitato di Piazza Verdi.

Li vogliono ringraziare per averla aiutata, per averle dato un paio di jeans e una felpa, per averla abbracciata.

Cercano inoltre, faticosamente, di ricostruire i suoi ultimi giorni.

La ragazza era partita in treno l’8 Maggio da Potenza e il progetto era di fermarsi solo un paio di giorni appoggiandosi da uno zio.

Racconta ancora la madre:

“il giorno dopo il suo arrivo le hanno rubato il cellulare ma io l’ho sempre sentita, mi chiamava con altri telefoni più volte al giorno, fermava le persone per telefonare.

Questo ragazzo che ha incontrato le avrà fatto provare la droga, questa schifezza, io non lo so.

Ma non è vero che viveva di stenti, nè che era abbandonata: nel suo bancomat c’erano ancora dei soldi.

Non l’avremmo mai lasciata partire così.

Linda ha chiamato l’ultima volta il lunedì e ha detto: ‘mamma vi amo tutti‘.

Io l’ho implorata di mettersi sul primo treno, le ho detto che avrei pagato la multa, ma che doveva tornare a casa, che avevo bisogno di lei.

Lei diceva di no, che stava bene, era felice e voleva vivere per sempre a Bologna.

Voleva fare le cose che fanno tutti alla sua età: viaggiare, innamorarsi, l’università.

Si era iscritta a scuola guida e andava in palestra.

Mi diceva: ‘mamma non ti dico tutto perché altrimenti ti metti a fare le tue solite indagini’.

Ormai era grande e questo disturbo della personalità le era stato diagnosticato la prima volta a 14 anni, ma quando era piccola era più facile aiutarla.

Ora non sapevamo più come fare.

Prendeva degli stabilizzatori dell’umore ma questi sono farmaci che vanno monitorati, bisogna fare continui aggiustamenti, il paziente deve collaborare.

Al sud poi non è come nel resto d’Italia, anche i servizi per questo tipo di malattie sono scarsi, c’è poca consapevolezza.

Eravamo molto soli: io, suo padre, sua sorella e Linda.

Le sarei stata accanto altri trent’anni in quell’inferno pur di averla al mio fianco”.

La scomparsa di Linda ha lasciato un vuoto immenso non solo in chi l’ha conosciuta e nella famiglia, ma anche nel cuore di chi si è immedesimato nella tragedia che ha coinvolto questa giovane ragazza, volata in cielo troppo presto.

Ci stringiamo al dolore della famiglia.