INTERVISTA ALL’ARTISTA MELFITANO GIUSEPPE FESTINO CHE DOMANI PARTECIPERÀ A VENOSA ALLA MOSTRA “WAITING FOR FLORENCE BIENNALE 2017!”

Lo studio di Giuseppe Festino si trova a due passi dall’antica chiesa di San Lorenzo, in una delle vie più suggestive del centro storico di Melfi.

Ma forse sarebbe più corretto dire Giuseppe “Fenice” Festino, suo nome d’arte che non è un semplice biglietto da visita ma è anche la firma indelebile con la quale segna le sue opere, nonché uno dei tanti momenti di svolta del suo percorso esistenziale che lo hanno avvicinato all’arte.

Domani per Giuseppe è un grande giorno: a Venosa l’attende un’esposizione collettiva dal titolo “Waiting for Florence Biennale 2017”, iniziativa organizzata da Porta Coeli International Art Gallery di Venosa in partenariato con la Florence Biennale di Firenze.

Al termine dell’esposizione verrà decretato un vincitore che esporrà alla Biennale fiorentina, la quale rappresenta uno degli appuntamenti più in vista a livello internazionale per quanto riguarda l’arte contemporanea.

Entrando nel suo studio c’è un elemento dal quale non si può prescindere: la dominanza del colore.

Tele e tele che si arrampicano su per i muri, o poggiate sul pavimento che sprigionano un cromatismo denso e caldo.

C’è poi un secondo dato, la femminilità: i suoi dipinti sono soggetti femminili nelle più variopinte espressioni.

A guardare meglio lo stile si avverte qualcosa di Kirchner (ad esempio nella linea marcata o nei colori accesi), di Munch e della sua malinconia, o ancora dei nudi di Schiele e di Klimt, tutti grandi artisti dell’Espressionismo del primo ‘900.

Artisti che Giuseppe ha “incontrato” nel corso dei suoi numerosi viaggi, spesso in solitaria, tra Roma, Vienna, Milano.

Incontri preparatori, conoscenze rilevatrici: come quella con Van Gogh ad Amsterdam circa 5 anni fa, forse il primo grande genio dell’arte che ha fatto breccia nella sua sensibilità.

Un’ispirazione a questi grandi artisti che tuttavia non si traduce in mera imitazione, anzi: il linguaggio di Giuseppe si fa personale, si reinventa di volta in volta, si carica di suggestioni, si mescola.

Sono lavori “sofferti”, nell’animo e nella gestazione.

Lavori che si aggirano alle 90 tele realizzate in un solo anno di tempo.

Ed è forse questa la singolarità del percorso di Giuseppe Fenice Festino: l’esplosione del talento.

In un anno ha anche partecipato a diverse esposizioni: alla Triennale di Verona, alla “Veritas Feminae Art Contest” ad Amalfi, all’Art Gallery di Milano.

Con tanto di pubblicazioni su importanti cataloghi come “Effetto Arte”.

Vorrà pur dire qualcosa se il grande critico Paolo Levi lo ha inserito tra gli artisti emergenti sui quali bisogna investire.

Giuseppe, c’è stato un percorso accademico che ti ha portato ad essere quello che sei oggi?

“No, sono un autodidatta. È stato un percorso intimamente personale e così sarà sempre. Ho 33 anni e credo che se avessi voluto seguire dei corsi accademici lo avrei fatto ma non è stato quello il mio progetto di vita”.

Artista da sempre?

“Sin da piccolo scarabocchiavo sulle ultime pagine di quaderni e libri. Una sorta di evasione dal mondo, una specie di arteterapia per esorcizzare le paure, i dissidi interiori. Non era ancora una consapevolezza, piuttosto un libero fluire delle cose.

Sono circa 5 anni che eseguo disegni e da un anno sono passato alla fase successiva, che è la pittura su tela.

Qualche tempo fa c’è stata la svolta con la scoperta del colore: ero a casa con le mie nipotine che stavano colorando, mi sono accostato a loro per partecipare, quasi per gioco, ma lì ho sentito un richiamo. Da allora il colore è diventato una costante della mia arte.

Lavori solo su tela?

“Prevalentemente. Qualche volta uso supporti in legno ma preferisco la tela. Così come prediligo l’utilizzo dei colori acrilici”.

I tuoi soggetti sono quasi esclusivamente femminili. Perché la femmina?

“Perché la femmina è la sensibilità per eccellenza, è la bellezza. Secondo una mia personale visione della spiritualità, Dio stesso è femmina. In lei trovo tutta la mia ispirazione, catturo le sue sensazioni, i suoi vissuti, me ne approprio secondo un processo empatico. In parte ciò che restituisco sulla tela non è soltanto quel soggetto, dentro ci sono anche io”.

Mentre racconta continua a mostrare tele e disegni, questi ultimi sapientemente custoditi. C’è quasi un rapporto tattile tra Giuseppe e le sue opere, un continuo toccare e mostrare. Certe tele hanno in effetti un qualcosa di materico, come i graffi che incidono i colori dando quel senso di tridimensionalità e profondità.

Un po’ come faceva Lucio Fontana con i suoi “squarci”, ma qui c’è anche altro: i suoi disegni sono vere e proprie pagine biografiche, un diario a colori su pensieri, vissuti, sensazioni.

Nel tuo nome ha inserito anche “Fenice”. Come mai?

“La fenice è una figura mitologica che mi ha sempre affascinato, durante il servizio militare decisi di farmi un tatuaggio che la rappresentasse e che poi ho personalizzato secondo la mia personale visione della figura. Ma è anche una questione di simbolismo, i simboli mitologici e religiosi hanno sempre attirato la mia attenzione”.

E mostra un secondo tatuaggio sul polso raffigurante un pesce stilizzato con l’iscrizione greca di chiara derivazione cristiana.

È questo il bello di una conversazione con Giuseppe: la sua incredibile cultura, che va da Epicuro ad Alda Merini, dalla storia del cristianesimo a Andy Warhol, fino a Dante. E non si può separare la sua arte dalla sua cultura: se si vuole entrare nella sua arte bisogna anche considerare il lungo lavoro intellettuale che c’è dietro, al di là delle personali e legittime interpretazioni che ciascun osservatore può dare.

Il tuo è un lavoro di istinto?

“Sì e no. Mi lascio guidare spesso dalle sensazioni, dagli incontri di una giornata, dai riflessi sugli occhiali da sole di una ragazza. A volte parto con un’idea precisa ma non è detto che essa non cambi. È sempre un continuo andare e venire tra ciò che sento e anche ciò che sono: nelle mie tele ci sono anche io con tutto il mio mondo, il mio disincanto e la mia melanconia”.

Quando una tua opera può dirsi conclusa?

“È difficile rispondere. Probabilmente non lo è mai. Spesso ci ritorno, la modifico, la stravolgo, la ricreo. Talvolta lascio visibili gli errori perché a mio parere sono una parte importante dell’opera, possono rivelare molto, possono contribuire a dare una visione diversa del tutto”.

Hai un modo di lavorare particolare?

“Prediligo la notte e la solitudine. Mi chiudo nel mio studio e lavoro anche tutta la notte in silenzio o ascoltando una musica che possa ispirarmi. Il silenzio è una componente fondamentale. A volte vado a ricercarlo, al mare o in montagna. Fino a poco tempo fa lavoravo in campagna ma anche per una serie di questioni tecniche, come l’umidità che costituiva una problema per le tele, ho deciso di crearmi uno spazio personale in città”.

Domani a Venosa ti attende un appuntamento importante. Cosa esporrai e cosa puoi dirci a riguardo?

“Il titolo del dipinto è “Moon in Love”, un’opera che ho realizzato a Maggio 2016. Rappresenta una figura femminile che si fonde quasi con la luna. C’è una novità in questa opera:  è una delle prime in cui ho iniziato ad introdurre nuovi colori sulla mia tavolozza, come il blu.

Solitamente i colori che uso sono il rosso e l’arancio. Ma è anche vero che con i colori ho un rapporto singolare, ad esempio mi piacciono molto il viola e il verde pur impiegandoli poco o comunque tendo a mescolarli tra loro”.

Colore, femminilità, sensibilità, io interiore: sono questi forse gli elementi principali della sua arte, e non si vuole qui tentare un’operazione riduttiva del suo processo creativo.

Proprio per questo è utile conoscere di persona la sua arte, in modo tale da poter cogliere le sottigliezze, le sfumature, le inclinazioni.

L’appuntamento è dunque per domani a Venosa con la presentazione ufficiale dell’evento alle ore 11 presso il Castello Pirro del Balzo.

L’esposizione sarà visitabile fino al 6 Agosto 2016, giorno in cui si decreterà il vincitore che avrà l’opportunità di esporre alla Biennale di Firenze.

Sono due gli spazi espositivi: il Castello e Palazzo Rapolla, e qui troveremo Giuseppe Fenice Festino con la sua “Moon in Love”.

Di seguito mostriamo un’opera rappresentativa dell’arte di Giuseppe, dal titolo “Paranoid Trip“.

Per ragioni legate all’organizzazione dell’evento non è stato possibile mostrare in anteprima l’opera che parteciperà all’esposizione.

Un motivo in più per ammirarla di persona, il rapporto dal vivo è totalmente diverso da quello filtrato da uno schermo.

E l’arte di Giuseppe merita davvero di essere apprezzata.

Paranoid Trip” – Acrilico su tela, 60×80 cm

paranoid trip festino