25 anni di Melfi FCA: “Il lavoro dignitoso è determinante per maggiore prosperità e produttività”. La lettera del Vescovo

Quest’anno la FCA –Fiat Chrysler Automobiles ha ricordato i 25 anni dell’insediamento dello stabilimento FCA a Melfi.

Così il Vescovo della Diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa, Mons. Ciro Fanelli, commenta questo traguardo:

“Nel 1992, S.E. Mons. Vincenzo Cozzi – all’indomani della decisione di insediare a Melfi uno stabilimento FIAT – indirizzava alla Diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa una lettera pastorale per illuminare un evento di grande portata sociale, economica, culturale e per auspicare una presenza propositiva della comunità cristiana sul tema del lavoro, inteso come una esperienza umana fondamentale.

La lettera, intitolata ‘La FIAT a Melfi. Problemi e prospettive nella Chiesa del Vulture-Melfese’, veniva consegnata ai presbiteri e al popolo di Dioil 16 aprile 1992, in occasione del giovedì santo.

Come successore di S.E. Mons. Cozzi, di venerata memoria, sento il dovere di ricordare le sue parole – ancora eloquenti e, per certi versi, anche profetiche – nella consapevolezza che il dovere di favorire un ‘lavoro libero, creativo, partecipativo e solidare’ (cfr. Papa Francesco, Evangelii gaudium n. 192), resta una necessità irrinunciabile anche per il Vulture-Melfese, per l’intera Basilicata e non solo, dato che lo stabilimento FCA di Melfi è un polo industriale che riveste un ruolo importante anche per il resto d’Italia.

Mons. Cozzi, alla vigilia dell’insediamento dello stabilimento FIAT, nella sua lettera pastorale scriveva: «Nel prossimo anno a San Nicola di Melfi gli stabilimenti della Casa automobilistica di Torino accoglieranno migliaia di operai e probabilmente già nei primi mesi il lavoro si svolgerà a pieno ritmo. Un avvenimento storico, che creerà situazioni del tutto nuove nei nostri paesi, particolarmente, penso, a Melfi e a Lavello. Da ‘operazione economica’, esso si trasformerà certamente ‘in fatto culturale’, perché oltre a modificare la “geografia industriale” del territorio, si innesterà ai nostri tessuti sociali, nelle nostre culture tipiche apportandovi inevitabilmente mutamenti e innovazioni».

La nostra chiesa diocesana, oggi come allora, si sente profondamente interpellata e fortemente provocata dal tema del lavoro, nella consapevolezza che, attraverso di esso, la persona umana esprime e accresce la dignità della propria vita (cfr. Francesco, Evangelii gaudium, n. 192).

Pertanto, vorrei strutturare la mia riflessione su almeno tre punti. Da lì vorrei muovere con alcune considerazioni di carattere generale e con alcune osservazioni più pratiche, volte a sollecitare il rafforzamento di quelle esperienze migliori di cui tanti hanno beneficiato o potranno beneficiare in ragione della presenza di FCA a Melfi.

Primo punto. Una nuova concezione del lavoro per una comunità più sana (mi è stato raccontato che la scelta di Melfi per l’insediamento di FCA non è stato casuale. Ci fu uno studio svolto da un comitato tecnico di esperti di rilievo nazionale e internazionale. Si scelse questa terra per ragioni ben ponderate, facendo leva su molti aspetti che attengono alla logistica, alla situazione sociale, alla potenzialità dello sviluppo territoriale e, cosa non secondaria, alla storia e al futuro della comunità qui presente).

Il primo punto della mia riflessione attiene al fatto che ci sono molti elementi che contribuiscono alla salute di una comunità. Tra questi, ritengo che, tra i più significativi, ci sia il lavoro. Intendo sottolineare, anche in linea con il pensiero sociale della Chiesta, che una comunità sana sussiste se c’è un lavoro dignitoso, partecipativo, solidale, un lavoro creativo, un lavoro sicuro, un lavoro basato su una efficace formazione professionale, volto a rendere la persona e la comunità di appartenenza capace di reagire a eventi di ogni tipo. Le comunità che hanno al centro un lavoro così composto sono comunità che possiedono un sistema più robusto di significato, che va oltre gli individualismi e si compongono mediante legami profondi tra generazioni, tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra vicinie lontani. È una comunità che, mediante quel lavoro, punta a migliorare continuamente le condizioni individuali e sociali, sapendo di poter incidere sulla costruzione di un futuro migliore.

C’è, per questa ragione, bisogno di una nuova prospettiva che sia anche una contro-narrazione nobile e fiera sul lavoro svolto qui nel Vulture-Melfese (diversa da quelle concezioni e narrazioni negative e chiuse), in questa nostra terra, anche in FCA, considerato indispensabile per rafforzare la presenza di una comunità sana.

Quella nuova-narrazione deve necessariamente opporsi a logiche divisive che spesso una certa cattiva retorica propone.

È una prospettiva diversa che muove dal lavoro come risposta alla legittima domanda di protezione delle persone e delle famiglie, dal lavoro che riavvicina persone a territori e sostiene comunità inclusive.

Auspico che ci siano, dunque, periodicamente, convegni, seminari, eventi e occasioni, in città, nella scuola e nell’università, nelle associazioni, organizzati e sostenuti da una grande impresa come FCA, in cui si rifletta sul lavoro come motore della nostra comunità, sul lavoro come protezione e sfida della persona, sul lavoro come modo per sostenere comunità più inclusive.

Secondo punto. Valore dei ‘corpi intermedi’ e difesa del ‘creato’ per una comunità più coesa.

Una comunità sana, rigenerata dal lavoro dignitoso, è una comunità coesa che garantisce sicurezza, crea clima di fiducia, tranquillizza, senza affievolire le istanze più profonde di crescita personale. Spesso osservo, ahimè, un certo senso di abbandono e di perdita di fiducia in alcune zone del nostro territorio. Si tratta di aree in cui, pur essendoci un buon livello di occupazione e formazione, si nota una latente forma di depressione sociale che si trasmette da genitore a figlio, da docente ad allievo, e così via.

Il lavoro dignitoso è un fattore determinante per spingere la maggiore prosperità e produttività, individuale e di azienda.

La presenza di FCA, qui in Basilicata, ha avuto nel tempo il primato di rilanciare una riflessione sulla capacità di rappresentanza dei corpi intermedi.

I corpi intermedi ci insegnano a capire quotidianamente quali siano i beni che contano maggiormente per una persona, anche sul luogo di lavoro.

Il che significa, anche per esemplificare, solidarietà, amicizia, buona volontà, unità, fiducia.

I corpi intermedi vanno promossi e rispettati, secondo la logica della nostra Costituzione, in ogni interlocuzione, perché lì si forma la coscienza sociale della persona.

Se si indebolisce il corpo intermedio, si indebolisce la coesione della comunità, si incide per sempre sulla capacità di dare e ricevere fiducia, e, dunque, sulla prosperità e sulla produttività.

Oggi i corpi intermedi, nella interlocuzione con le grandi imprese come FCA hanno una doppia sfida: al bisogno di inclusività, di cui sono mediatori legittimi, debbono abbinare azioni concrete di responsabilità nell’ambito dei cambiamenti climatici.

C’è una responsabilità del bene altrui che non attiene solo all’oggi, ma anche al domani.

Un corpo intermedio, che opera in un’impresa internazionalecome FCA, maturando una visione moderna sulla preservazione del creato, sarà sempre più interrogato sui rischi e sul bilanciamento tra rischi.

Auspico, con riferimento a questo secondo punto, un confronto continuato, aperto e leale tra impresa e corpi intermedi sul messaggio profetico dell’enciclica Laudato si’ e sullo sviluppo sostenibile.

Terzo punto. Giovani e immigrati per una comunità più generativa.

I dati ci dicono che la fuga deigiovani dall’Italia ci costa 16 miliardi e che, contestualmente, il 9% del Pil viene da lavoratori immigrati.

Sono due aspetti distinti, ma per alcuni versi, qui in questa terra, collegabili, proprio in riferimento al ruolo che FCA ha nello sviluppo territoriale.

Serve una convergenza programmatica, a tutti i livelli, tra protezione e progresso, con riferimento sia ai giovani che intendono lasciare questa terra che ai migranti che raggiungono questa terra.

Alcuni studiosi ci dicono che siamo nella società della stanchezza.

Ai giovani viene chiesto di riuscire nella vita, ma spesso la loro domanda di senso non trova risposta negli adulti.

I migranti raggiungono questa terra perché non hanno altra alternativa alla fuga dalle proprie case.

Una comunità, che è generativa, sa mettere insieme queste due polarizzazioni, cercando soluzioni efficaci, immediatamente applicabili al contesto.

Ho già sottolineato, in altri recenti miei documenti, quanto importante sia il dato demografico in questa terra.

Desidero ancora una volta porre in rilievo che la bomba demografica, che certamente riguarda l’intero nostro paese, qui ha risvolti più rilevanti, soprattutto se osservata dal punto di vista di chi cerca manodopera specializzata e di chi deve formare lavoratori e lavoratrici per imprese a produzione altamente tecnologica come FCA.

Auspico, con riferimento a questo punto, scelte politiche locali forti sulla scuola, sull’università, sulle famiglie, sul terzo settore, sulle infrastrutture logistiche e sociali, per creare comunità più generative, capaci di dare risposte ai chi intende lasciare questa terra, perché non lo faccia, anzi si orienti a stare per rigenerare, e a chi arriva in Basilicata, perché si integri e si inserisca nella trasmissione di conoscenze, relazioni e competenze che ha trovato per migliorare se stesso e ciò che lo circonda.

La comunità cristiana di Melfi-Rapolla-Venosa, che è chiamata ad ‘abitare’ il nostro territorio facendo proprie le gioie e le speranze, le angosce e le sofferenze della gente (Cfr. GS 1), dovrà sforzarsi di annunciare a tutti, con rinnovato entusiasmo e con creatività, il Vangelo di Gesù Cristo, che impegna, ciascuno per le proprie responsabilità, a costruire una comunità più giusta e solidale, più inclusiva e più aperta al dialogo e che esorta sempre a lottare contro ogni forma di povertà spirituale, morale, sociale ed economica”.