Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa di Saverio Brienza, Segretario Regionale S.A.P.Pe.:
“Una volta il Carcere era un luogo dove l’individuo ristretto poteva dedicarsi alla riflessione e alla presa di coscienza del reato commesso e guardare in maniera lungimirante sul proprio futuro.
Parimenti il lavoro svolto dalla Polizia Penitenziaria veniva rispettato dalla popolazione detenuta, anzi se in qualche isolato caso un detenuto non mostrava rispetto verso i baschi azzurri e verso le regole penitenziarie, erano gli altri detenuti a redarguirlo.
Oggi la realtà penitenziaria è tutt’altro ed anche negli istituti della Basilicata gli episodi violenti non sono da meno rispetto alla realtà geografica nazionale.
Il SAPPE, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, attraverso il Segretario regionale della Basilicata Saverio Brienza, senza alcun timore di smentita, traccia una realtà terrificante, ossia della violenza di tanti, troppi detenuti delle tre case circondariali lucane e nell’Istituto penale per minorenni di Potenza, che sovrastano gli equilibri con limiti ormai quasi insostenibile.
Basta poco, magari un diniego che limita gli interessi illeciti, oppure per una ideologica volontà di controbattere un sistema regolamentato o di qualsivoglia problematica personale e quel sottile confine tra il bene e il male viene superato attraverso violente aggressioni o da ripetute minacce verso chi difende lo Stato e le sue leggi.
La polizia penitenziaria che lavora negli istituti lucani è rimasta sola, disarmata dallo stesso Stato da cui dipende e presa di mira con ogni tipo di ostilità da parte dei detenuti, nella totale indifferenza della maggior parte della politica e di chi dovrebbe porre provvedimenti per dare un freno a tali violenze.
I detenuti, specie negli ultimi due o tre anni, compiono tali aberrazioni nella piena consapevolezza di rimanere impuniti o, tuttalpiù giudicati penalmente chissà dopo quanti anni con condanne quasi insignificanti.
Dal punto di vista disciplinare stendiamo un velo pietoso, poiché si tende sempre a giustificare oppure a sminuire tali comportamenti da parte dell’Amministrazione Penitenziaria.
La consapevolezza da parte di chi decide di sfidare lo stato e’ determinata da una presa di coscienza che garanti, associazioni di categoria, anche alcuni esponenti politici e settori strategici pongano ogni forma di tutela per giustificare anche comportamenti inauditi. Intanto la polizia penitenziaria sembra essere il capro espiatorio di ogni questione e quindi l’agnello sacrificale delle controversie che regnano nelle carceri.
Nel momento in cui accadono gli eventi critici bisogna cercare sempre il poliziotto penitenziario che deve pagare.
Molti, troppi detenuti si dedicano ad un normale delinquere anche nel carcere, così come facevano fuori, agevolati da un sistema di sicurezza che non regge per tantissime ragioni: organico del personale di Polizia Penitenziaria reso al lumicino, una visione a maglia larga della sicurezza, presenza costante di detenuti problematici che tende ad un continuo innalzamento.
Proprio l’altro ieri nella casa circondariale di Melfi, un detenuto minacciava di morte un poliziotto solo perché quest’ultimo non consentiva di svolgere un atto contrario alle regole.
Non dimentichiamo che proprio qualche giorno fa un altro detenuto della casa circondariale di Potenza, spalleggiato da alcuni compagni di pari animosità, cercava di imporre con violenza e minaccia un nostro collega, intimandogli di non presentarsi più in servizio in quella determinata sezione detentiva.
E non è la prima volta che lo stesso detenuto si sia posto in tale modo.
Ed è notizia di qualche ora, quella che proprio ieri, sempre a Potenza, la moglie di un detenuto tentava di introdurre un importante quantitativo di sostanza stupefacente, probabilmente destinata ad un’attività di spaccio interno.
Addirittura il Reparto femminile di Potenza è oggetto di violenze da parte delle detenute.
Da quando il femminile di Potenza è stato riaperto (dopo una importante ristrutturazione) stiamo ricevendo la custodia di donne che non esitano a danneggiare la struttura, a violente risse tra di loro, ai tentativi di aggressione verso le nostre poliziotte.
Non sono mancate negli ultimi tempi anche presso la casa circondariale di Matera medesimi episodi aggressivi verso il personale, così come quello di tentare l’introduzione di telefoni cellulari e favorire le illecite comunicazioni con l’esterno.
Un fenomeno in grande crescita, quello di creare delle vere e proprie “cabine telefoniche” sotto illecite gestioni della criminalità, che attraverso la disponibilità di tali strumenti di comunicazione, traggono proventi illeciti da parte dei detenuti fruitori.
Sono anche questi i momenti dove si creano maggiori tensioni tra detenuti e Polizia Penitenziaria, allorquando i Baschi Azzurri nello svolgere con senso del dovere i propri compiti, nel momento in cui vengono stroncati tali traffici illeciti all’Interno delle nostre carceri, poiché i detenuti coinvolti non riescono ad accettarlo e attaccano i poliziotti in qualsiasi modo possibile.
La Casa Circondariale di Matera è balzata alle cronache anche per due tentativi di evasione occorsi negli ultimi tempi e che solo grazie alla immediata reazione della polizia penitenziaria sono stati riportati in carcere.
Insomma le carceri lucane non sono certamente immuni da fenomeni di violenza verbale e fisica. Sarebbe meno mortificante per i poliziotti penitenziari lucani, conclude Saverio Brienza, vedere una giusta reazione dello Stato, che intervenga a difesa di chi lavora in questi luoghi di prossimità, mentre, molte volte si assiste ad atti di clemenza o di sanzioni inefficaci verso chi ha commesso aberranti azioni violente nei confronti di chi ancora crede in questo duro e silenzioso lavoro.
Mentre c’è un’altra faccia, quella di detenuti che si comportano bene, che rispettano le regole e il personale di polizia penitenziaria, perché credono in percorsi rieducativi utili per uscire dal carcere come persone migliori e che il più delle volte, nonostante tutto, anch’essi vengono sopraffatti dalla violenza di chi vuole continuare a delinquere e ad imporre la legge della criminalità.
Si, parliamo dell’altra faccia, quella che rappresenta i detenuti che non hanno assolutamente intenzione di dedicare il tempo trascorso in carcere con azioni di recupero rispetto ai reati commessi, anzi utilizzano il tempo in carcere per continuare a delinquere e porre in essere qualsiasi azione violenta per destabilizzare l’ordine e la sicurezza degli istituti penitenziari a qualsiasi costo, sfidando tutti e tutto per il raggiungimento di obiettivi illeciti.
Non può essere questo il destino di una sana istituzione, perché la polizia penitenziaria è stanca di sopportare tutto ciò, senza che nessuno si preoccupi di fare qualcosa o di adottare disposizioni che ancora risultano vigenti, quelle di allontanare in altri Istituti penitenziaria i detenuti che si rendono responsabili di comportamenti inidonei attraverso qualsiasi forma di violenza, anche fuori dal proprio territorio di appartenenza criminale.
L’unica energia vitale che negli Istituti sviluppa giustizia, sicurezza e affidabilità è la grande professionalità del Corpo di polizia penitenziaria.
Orgoglio di Stato. Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, sottolinea “le difficili condizioni di lavoro dei Baschi Azzurri, spesso vittime di violenza”, e “l’importanza di un ambiente che favorisca il cambiamento dei detenuti”.
Per questo, da tempo, il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria propone un sistema penitenziario strutturato su tre livelli: pene alternative al carcere per reati minori (fino a 3 anni), detenzione in istituti meno affollati per reati più gravi, e massima sicurezza per i casi più pericolosi.
Secondo Capece, il sovraffollamento è un problema storico diffuso in Europa; il carcere serve soprattutto per la criminalità organizzata e le fasce deboli, ma spesso affronta problemi sociali irrisolti.
Il SAPPE, che esprime vicinanza e solidarietà ai poliziotti di Matera e di tutta la Lucania chiede “una revisione del sistema penale, distinguendo fra reati che necessitano il carcere e quelli che possono essere sanzionati diversamente”.
Il leader storico della prima e più rappresentativa Organizzazione sindacale del Corpo conclude ricordando il motto della Polizia Penitenziaria – “Despondere spem munus nostrum” (“garantire la speranza è il nostro compito”) – riconoscendo il valore umano e professionale degli agenti operativi nelle carceri italiane”.

































