Si tratta di circa un terzo dei dipendenti nel settore privato.
A incidere – si legge in uno studio della Cgil – sono la tipologia contrattuale e il tempo di lavoro, ma anche la qualifica.
Una volta si chiamava “generazione mille euro, ma uno studio della Cgil mostra – se mai ce ne fosse ancora bisogno – che il lavoro povero è un problema ancora drammaticamente reale e non riguarda neanche solo le generazioni più giovani.
Today sottolinea che “secondo lo studio, realizzato dall’ufficio Economia del sindacato, sono 6,2 milioni (35,7%) i dipendenti del settore privato che nel 2023 hanno percepito un salario inferiore ai 15 mila euro lordi annui, guadagnando nel migliore dei casi 1.000 euro netti al mese.
Nel complesso, i lavoratori che guadagnano meno di 25mila euro lordi annui sono circa 10,9 milioni di dipendenti (62,7%).
Sono 1.854.854 i lavoratori che hanno un reddito compreso tra 5 e 10mila euro; ci sono poi più di 2,3 milioni di dipendenti – il 13,6% del totale – che non arriva neppure a 5mila euro.
Tra gli elementi più penalizzanti della questione salariale vi sono la tipologia contrattuale e il tempo di lavoro.
I lavoratori con contratti a termine e part time hanno salari lordi annuali medi rispettivamente di 10,3 mila e 11,8 mila euro.
I lavoratori che cumulano le due condizioni vedono ridursi ulteriormente il loro salario lordo annuale medio a 7,1 mila euro.
Per Christian Ferrari e Francesca Re David della segreteria confederale della Cgil ‘precarietà, discontinuità, part time involontario, alta concentrazione di dipendenti nelle più basse qualifiche di inquadramento sono i fattori della tempesta perfetta che colpisce le lavoratrici e i lavoratori italiani, la maggior parte dei quali – anche a causa di un’alta inflazione cumulata e non ancora recuperata – sono sempre più poveri pur lavorando’.
Secondo i due dirigenti sindacali ‘per rimediare a una situazione diventata ormai intollerabile, confermata anche dai recenti dati Istat, occorre azionare tutte le leve disponibili: cancellare la precarietà, rinnovare i contratti già scaduti, mettere in campo politiche capaci di invertire il declino industriale che prosegue ininterrottamente da ben 26 mesi, dire basta alla competizione di costo e puntare su una frusta salariale che favorisca una via alta allo sviluppo, approvare una legge sul salario minimo'”.